Operazione Condor: ergastolo a 24 ex capi di Stato e agenti sudamericani

Ventiquattro imputati su 25 nel processo per i crimini dell'Operazione Condor sono stati condannati in 2° grado all'ergastolo per omicidio pluriaggravato di 23 italiani ai tempi delle dittature in Sudamerica. Una sentenza che ribalta le tante assoluzioni che avevano segnato la decisione di 1° grado. La difesa ha già annunciato il ricorso

Dopo 20 anni d’attesa, i familiari degli italiani assassinati dai torturatori delle dittature sudamericane trovano finalmente giustizia. Lunedì 8 luglio la Prima Corte d’assise d’Appello di Roma ha condannato all’ergastolo i 24 ex militari delle dittature di Uruguay, Cile, Bolivia e Perù imputati nel processo legato all’Operazione Condor.

Operazione Condor: sentenza di 1° grado e motivazioni

La sentenza ribalta quella di primo grado del 17 gennaio 2017, in cui, su un totale di 33 imputati, erano stati condannati solo i vertici del Plan Condor, otto tra presidenti e ministri, mentre diciannove fra ex militari e agenti dei servizi di sicurezza nazionale erano stati assolti. Le accuse riguardavano inizialmente casi di sequestro e omicidio, ma la prima delle due accuse cadde per prescrizione. Altri sei morirono nel corso del processo.

Nel dettaglio, erano stati riconosciuti colpevoli a vario titolo già due anni e mezzo fa: Luis García Meza Tejada, presidente della Bolívia fra il 1980 e il 1981; Luis Arce Gómez, uno dei suoi generali; Francisco Morales Bermúdez Cerruti, presidente del Perù dal 1975 al 1980; Germán Ruiz Figueroa, ex capo dei servizi segreti del Perù; Pedro Richter Prada, ex-militare e politico peruviano; Juan Carlos Blanco, ex cancelliere dell’ Uruguay; i colonnelli cileni Rafael Ahumada Valderrama e Hernán Jeronimo Ramírez.

Le motivazioni della sentenza verranno pubblicate fra 90 giorni, ma tutto indica che la Corte avrebbe accettato uno dei principali argomenti sostenuti sia dalla avvocatura di Stato, sia dalla Procura della Repubblica e dagli avvocati di parte civile: i rapimenti commessi da ex militari e agenti dei servizi segreti erano finalizzati all'”evento morte”.

Nello specifico, sono stati condannati per omicidio volontario pluriaggravato di 23 italiani che lottavano contro le dittature del Sudamerica.

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Il giudice Agatella Giuffrida, presidente della Corte, legge la sentenza di secondo grado – Foto: @ Janaina César

Cos’è l’Operazione Condor e i nomi dei condannati

L’Operazione Condor, o Plan Condor, era una rete di collaborazione fra i servizi delle dittature sudamericane negli anni ’70 e ’80 che aveva come scopo catturare, arrestare e assassinare gli oppositori politici.

Ad essere condannati in secondo grado sono i cileni Hernán Jerónimo Ramírez, Rafael Ahumada Valderrama, Pedro Octavio Espinoza Bravo, Daniel Aguirre Mora, Carlos Luco Astroza, Orlando Moreno Vásquez e Manuel Abraham Vásquez Chauan, i peruvani Francisco Morales Bermúdez, Germán Ruiz Figuero e Martín Martínez Garay e il boliviano Luis Arce Gómez.

Fra gli uruguaiani: José Gavazzo Pereira, Juan Carlos Blanco, José Ricardo Arab Fernández, Juan Carlos Larcebeau, Pedro Antonio Mato Narbondo, Luis Alfredo Maurente, Ricardo José Medina Blanco, Ernesto Avelino Ramas Pereira, José Sande Lima, Jorge Alberto Silveira, Ernesto Soca, Néstor Troccoli, Gilberto Vázquez Bissio.  Ricardo Eliseo Chávez, invece, è stato assolto di nuovo (lo era già stato in primo grado).

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Troccoli e il collegamento tra Argentina e Uruguay

Francesco Saverio Guzzo, avvocato di Troccoli, durante la sua arringa aveva detto che «volevano – le parti civili, la pubblica accusa e l’avvocatura dello Stato – rendere il suo assistito un mostro perché aveva osato scrivere un libro in cui denunciava le torture e che per vanità lui si è messo in evidenza, ma che non era esattamente la realtà».

Guzzo si riferiva al libro L’ira del Leviatano, in cui Troccoli si definiva un «professionista della violenza» e reclamava i suoi crimini con l’intenzione di essere riconosciuto come un uomo al servizio dello Stato.

Le prove presentate in aula contro Troccoli, pare lo abbiano inchiodato. Un pacco di documenti inediti trovati negli archivi di Uruguay, Argentina e Stati Uniti, resi pubblici soltanto l’anno scorso (cioè dopo la sentenza di primo grado), descrivevano il funzionamento della collaborazione tra le agenzie di intelligence di Montevideo e Buenos Aires, cioè Fusna ed Esma.

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Miguel Angel Toma, rappresentante del governo dell’Uruguay, e Andrea Speranzoni, avvocato dell’Uruguay – Foto: @ Janaina César

Scossa elettrica e figli nati in carcere

Fra le vittime del “torturatore” uruguaiano – stando all’ultima sentenza – che vive tranquillamente in Italia, c’è l´uruguaiana Aida Celia San Fernandez, sequestrata a Buenos Aires nel 1977. Portata in un centro de detenzione clandestina, ha subito le torture più sadiche come «la picana elettrica, anche mediante l’intrusione in vagina di un cucchiaio che le provocava il parto prematuro della figlia Maria de las Mercedes Carmen Gallo, nata nel corso della prigionia il 27 dicembre 1977».

Testimoni del Plan Condor: «Sì, è il capo dei torturatori»

Durante le udienze del processo di primo grado sull’Operazione Condor, due delle presunte vittime di Troccoli rimaste in vita sono venute dall’Uruguay per raccontare gli orrori subiti. Cristina Fynn l’ha riconosciuto. Quando uno degli avvocati di parte civile le ha mostrato una foto di allora, la donna ha prontamente risposto:

«Sì, è lui il capo dei torturatori».

Anche Rosa Barreix, ex militante del Gau (Grupo de acción unificadora) uruguaiano, allora incinta, l’ha indicato con certezza. Costretta sotto tortura a collaborare con i militari, ha parlato dell’ufficio del Fusna in cui i detenuti dovevano rilasciare le loro deposizioni.

Nonostante i racconti di queste sopravvissute e altre testi che hanno deposto durante i due anni del processo in primo grado, la corte non aveva trovato gli elementi per una condanna.

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Familiari delle vittime fuori dall’aula dopo il pronunciamento della sentenza – Foto: @ Janina César

Processo Operazione Condor: «Giustizia è fatta»

Sulla decisione della corte d’ Appello, Cristina Mihura, vedova di Bernardo Arnone, arrestato a Buenos Aires e ancora desaparecido, ha detto, commossa:

«Ho sentito dire che la giustizia quando ritarda non è giustizia, però oggi dico che questo non è vero. Bernardo ha avuto giustizia, adesso devo trovare il suo corpo».

Operazione Condor: in arrivo il ricorso in Cassazione

All’uscita del tribunale, la difesa di Troccoli ha già chiarito che farà ricorso in Cassazione e ha garantito che il suo assistito non scapperà dal paese, come aveva invece fatto venendo in Italia per evitare di essere processato in Uruguay.

Questo è il primo processo in Europa a emettere delle condanne per reati commessi nell’ambito dell’Operazione Condor.

Il film – documentario sull’Operazione Condor

Per conoscere la storia e non lasciare che cada nel dimenticatoio, la regista italiana Emanuela Tomassetti ha documentato il processo e raccontato nel suo bellissimo e sensibile documentario La Memoria del Condor le vicende personali di alcune delle vittime. Le testimonianze dei protagonisti in Tribunale e durante le interviste si alternano alle immagini di repertorio, provenienti sia da archivi italiani, argentini e uruguaiani, sia dagli archivi privati dei sopravvissuti.

Per Tomassetti, «i familiari e gli amici delle vittime ci regalono le loro testimonianze, facendoci riflettere su quanto sia importante salvaguardare la memoria».

Storia del processo Condor in Italia: tutto iniziò col mandato d’arresto al dittatore Pinochet

Il giudice spagnolo Baltasar Garzón non poteva immaginare che il mandato di arresto internazionale nei confronti dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet, emesso nel 1998, per crimini contro l’umanità, sarebbe stato il passo iniziale per portare questi 24 sudamericani all’ergastolo.

Tutto è nato proprio dalle indagine di Garzón. Un anno dopo, il procuratore Giancarlo Capaldo, che già indagava sulle morte di alcuni italo-cileni vittime di Pinochet, aprì un’indagine legata ad omicidi e sparizione di italiani avvenuti nell’ambito dell’Operazione Condor. Nel 2006 Capaldo unificò le inchieste, chiuse l’indagine ed emise 146 mandati di arresti contro quei militari e torturatori del Cone sud.

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